Roberto Frazzetta
"Bad Woman Blues"
Aggiornamento: 3 nov

(Compost letterario in quarantena)
Susan la cantante.
Si dimenava come un serpente sulle braci. La lingua dentro e fuori dava quella somiglianza. Le gocciole di sudore lambivano i contorni del viso tra onde e musica. E quello che stringeva davvero non sembrava un microfono, ma un capro espiatorio maschile da estirpare a morsi.
Susan era al top. Mentre la sera andava al dunque, la gente rapita del locale, le note lanciate a volumi impressionanti… Susan ballava e cantava e gli occhi erano chiusi, le gambe sode e le labbra tumide da troppo white lady…
“Quando mi avvicinerò a te sarà la fine..”
Un blues vecchio come il mondo.
Questa era la sua serata e lei appetibile come non mai gridava e i cristalli dei bicchieri tremavano tra le labbra degli spettatori.
Nessuno sapeva, nessuno poteva e ne era in grado… tutti i maschietti e le femmine deviate del locale erano lì per masturbarsi la mente con le sue grazie danzanti, e alcuni lo facevano in modo ostentato sorridendo e sfiorandosi tanta era l’incapacità del controllo, se mai ne fosse esistito alcuno in momenti simili.
Inoltre… era il compleanno della nostra donzella… era quello che si vociferava nel locale, non più carne fresca ma certo davvero una bella… quarant’anni di voce e passione. Chissà dove stava di casa?
I capelli le cadevano umidi sulle spalle e sui seni giustamente gonfi…
Lo sguardo fisso, indefinito, come a guardare tutti e non affascinarsi a nessuno… Susan non ricordava molto, soltanto il senso di libertà nemmeno lontanamente saziato… era strano ma a guardarsi avrebbe scommesso di non essere uscita mai, di aver assistito ai fatti importanti della sua vita dietro una coltre di sbarre di ferro. E ricordava dannatamente bene il sapore ferroso simile a sangue.
Cantare blues era l’unico modo per sputarlo via.
Sorrideva anche se lo smalto non era proprio accuratamente dipinto sulle unghie.

Ora passiamo al locale…
Immaginatevi se ci riuscite, e so che non è impossibile, immaginatevi questo locale gremito di anime dannate dalla routine, e quindi in un venerdì sera agognato… ecco sì, un venerdì sera di quelli giusti…osservate questa gente all’apparenza così banale e il locale non è troppo radical chic, ma è di quelli essenziali, incontaminato nell’arredamento rosso, niente finta pelle e se state attenti vedrete anche voi le grinze degli sgabelli testimoniare che nelle sue svariate forme, la vita ha posato il suo culo qui per ascoltare un blues. Il bancone dell’abbeveraggio lungo tipo serpente con sorridenti baristi danzanti. I bagni sono…classico dei classici, in fondo a destra. Bene… a ridosso di una parete di specchi alloggia la band… una batteria essenziale, un contrabbasso di legno scuro che le luci strobo infiammano e un amplificatore Fender con una chitarra Telecaster in grado di evocare demoni e al centro un asta con su un bel microfono rock&roll, grosso e argentato.
Ci siete? Ora aggiungete i musicisti e a seguito la musica… perfetto, ben arrivati nel “Limbo del blues!”
Se vi state chiedendo perché i musicisti si guardano Susan, increduli, è perché lei non è nel gruppo, e forse nemmeno ha mai cantato. Già ma nessuno può saperlo… lei si è presentata all’apertura del locale e camminava già da brivido. Ha detto che voleva cantare tutta la sera, che conosceva i pezzi, perché chi non conosce il blues, non ha mai vissuto veramente e lei lo sapeva.
Se vi chiedete come ha fatto a convincere il gestore basta alzare lo sguardo… è quello sorridente ai piani alti che applaude, se lo è trascinato al bagno, in fondo a destra.
Susan canta e ricorda soltanto il momento di quella fulgida mattina quando ha aperto gli occhi. Lì per lì non rammentava niente, ma il corpo sa tutto e la mano che si ancorava sempre più forte all’amata 44 sotto il cuscino del marito.
Ricorda che le disse “Stupida troietta, lascia il mio ferro!” e riconobbe subito la voce del suo carceriere e le gesta, che nel cervello erano leggende narrate dal suo ego.
Il sorriso che ha ora, lo tiene su da stamani. Dopo avergli sparato, rovistò ovunque in quella casa senza ricordare che una volta era sua e trovò una tessera d’entrata di questo locale…e delle piste colombiane. Fatte tutte uscì in giro e si accorse in ritardo che il mondo andava troppo lento per lei.
Solo di sera, una canzone blues attirò la sua attenzione. La seguì con speranza.
Ed eccola Susan canta e si dimena che pare un serpente, la lingua agita le parole e i fianchi oscillano a ritmo delle passioni che ha tenuto troppo imbottigliate.
Quando si volta, tutti vedono ancora l’amata 44, infilata nei jeans…
La madama è così dannatamente sexy… e lo sanno tutti, anche i poliziotti che a tempo record stanno entrando, ma non sono vestiti da lavoro. Se avete fiuto, si riconoscono… e fanno domande e sorseggiano Bacardi lime e Chachacha, ma alla fine si sa come vanno queste storie, la porteranno via, ma non prima dell’ultimo pezzo…
Susan canta ed è una bellezza vederla agitata e viva, ma lei è così quando esce, passione cruda, istinto puro, solo blues.
Sentite come grida… un po’ mi spiace.
Se vi chiedete chi sono io, adesso posso pure dirvelo… sono il povero diavolo che si è scordato di darle le medicine… due giorni, forse tre, ma anche io ho il mio bel da fare, il lavoro alla centrale e tutte le rogne…l’ho tenuta a bada cinque anni mica un giorno, può capitare di fare errori… personalità multiple…mi avevano avvisto... però a dirla tutta pensavo che mi avrebbe fregato Susan la chirurga o al massimo Susan la cuoca ma non Susan la cantante blues, che poi si sa è la musica degli schiavi.
Pazienza… adesso godiamoci l’ultimo pezzo.