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Roberto Frazzetta scrittore

 
  • Immagine del redattoreRoberto Frazzetta

"Comete Come Te"



(14 Luglio 1999 a Gabry…)


Può accadere.

Che c’entra, mica sempre, ma può accadere.


Proprio quando cerchi qualcosa di profondo, di toccante, qualcosa di grande, quando smetti di ragionarci su, e abbandoni la mente, entra lo spirito in te, accade l’intenzione.

La tua.

Che c’e’?

Ha del mistico, dello spirituale?

Si. Allora?


Infatti spirituale è l’aggettivo più giusto che mi viene pensando a quello che voglio raccontarvi. Spirituale ed esoterico.

Rivolto a pochi.

Come lei del resto.


Io sono nato qui, come i miei genitori. Loro sono morti d’incidente stradale quando ero proprio piccolo, e da allora tutti qui al borgo della torre mi hanno accudito. Così per me è normale passeggiare con aria viziosa per le vie, lasciarmi coccolare e salutare da tutti.

Ci sono affezionato e questa cittadella è un po’ la mia mamma. Capoliveri.

Per molti rappresenta una vera e propria prigione, per altri una catena, per i tedeschi di agosto un posto affascinante dove sorseggiare caffè scekerati al bar della piazza gremita di anime.

Ma Capoliveri rimane sempre lei, sia con i suoi cornetti caldi d’inverno, con i colori tenui e tristi dell’autunno, impregnata di turisti, o che so, morbida nelle frescure di primavera.

Ed era primavera, una bellissima giornata solare con i raggi che scaldavano dolcemente la pelle. Io me ne stavo tranquillo a stiracchiarmi, usufruire di quella delizia di giornata quando in fondo alla via del borgo “la Torre” ecco spuntare una sagoma, una luce incredibile, soffice e piumata, sembrava una di quelle albe che spesso mi ritrovavo ad ammirare prima di rientrare dalle mie gite notturne.

Era Kay.

La figlia del signore finlandese, quello che alloggiava dentro alla vecchia torre. A Capoliveri chi aveva memoria e rughe ricordava Kay come una bimbetta rossa dalla carnagione chiara. Ma erano in pochi a rammentarsene.


La famiglia nordica non aveva mai fatto parte della cornice paesana di Capoliveri, le loro visite erano sporadiche e per lo più misteriose.

Kay con una borsa e due sacche da viaggio, camminava lenta e decisa, mi si fermò vicino e alzando gli occhiali viola mi disse:

“Sei proprio bello!”

Felice delle sue parole la vedevo proseguire verso la torre, mentre le facce e gli occhi della gente registravano il tutto.

Tra noi le cose iniziarono da subito ad andare da favola. Le feci visita dopo due giorni, dato che ancora non si era fatta vedere in paese nemmeno per comprare cibo.

Mentre salivo le scale la luce del crepuscolo che filtrava dalle finestrelle della torre rendeva tutto più misterioso. Non avevo paura, sapevo chi era, cosa faceva. Avevo sempre avuto una particolare sensibilità.


Kay fu felicissima di vedermi e così cenammo insieme tra la moltitudine di candele accese nel suo appartamento.

Mi parlò molto di se e finì che mi addormentai sul divano tra le sue mani. Era come se mi sentissi a casa.


“Quelle come noi hanno bisogno di quelli come te.”

Con questa frase Kay consacrò la nostra unione e tutto venne spontaneo dopo.

Io uscivo quando volevo e ritornavo per mangiare con lei, a volte quando ritornavo la vedevo assorta a gambe incrociate e sentivo dei strani brividi. Poi passavano. Iniziavo sempre di più a sapere di lei e a seguirla anche nelle meditazioni che faceva all’alba giù alla spiaggia dell’innamorata. Diceva che quella spiaggia era un suo luogo di potere. Le sue espressioni colme di mistero mi affascinavano.


Insieme stavamo benissimo, e mi infastidivano soltanto le chiacchiere che nascevano in paese sulla sua persona. In pratica tutti, chi più chi meno, aggiungendo e interpretando, dicevano che la mia Kay era una strega. Questo era vero, ma c’era della bruttura nei loro modi di dirlo, come se da un momento all’altro l’avrebbero bruciata con la loro cattiveria. Anche nei miei confronti molti loro atteggiamenti cambiarono.


Kay mi diceva:

“Dissolvi tutto. Non tenerti dentro niente, non permettergli di farti del male. Dissolvi. Come faccio io con le nuvole. Solve et cuagula”

Ed era vero che Kay dissolveva le nuvole. Le bucava proprio, e prima mi spiegava.

“Vedi quella nuvola lassù? …quella che sembra un pesce palla, ora la buco, la dissolvo.”

Io le rimanevo accanto rapito dalle vibrazioni che emanava, fino a che Puff! La nuvola spariva. Ma non era la nuvola a sciogliersi era Kay stessa a dissolversi.

Spesso si accarezzava disegnando cerchi sotto la pancia e poi estraeva qualcosa di vivo e luminoso.


“E’ il tantien mio caro.” Mi diceva e io lo vedevo ma mi sa che mica tutti ci riuscivano, perché alcuni ragazzi iniziarono a prenderla in giro e a farle il verso dietro. Ma era troppo bella per essere presa in giro, così dopo poco fu catalogata come strega ed evitata. Avevano quasi paura di lei.


La sera quando ce ne stavamo in casa, Kay leggeva o si esercitava, a volte sentivo il bisogno di allontanarmi e lei se ne accorgeva subito, allora allungava la mano e volteggiava in aria dei simboli.


“Ti proteggeranno quando sarai via.” Mi spiegava dolcemente.

E così la primavera passò, e le nostre consuete passeggiate mattutine diventavano più gustose e rilassanti, bagnate da raggi e spruzzi d’acqua. Una mattina, mentre io e Kay se ne stavamo seduti ad ammirare le primissime luci, assorti in una preghiera contemplativa, una barca con un uomo si avvicinava alla costa. La barca era in vecchio stile, da pescatore classico di Capoliveri, e la persona che cavalcava era un ragazzo preso attento nella meticolosa sistemazione delle reti.


In men che non si dica la situazione degenerò e la nostra splendida coppia veniva alterata dall’intrusione del ragazzo.


Si avvicinò e inginocchiandosi verso noi disse:

“Buongiorno Kay. Ti piace proprio questo posto?”


Kay non era abituata a sentirsi considerata dalle persone della cittadella tanto meno da un ragazzo, si girò verso di me e lentamente rispose:

“Buon giorno a te, questo posto è uno dei tanti meravigliosi posti che ci sono qui,basta accorgersene.”

“Si, anche a me piace molto qui, e lo sai, Kay, ti vedo spesso le mattine dal largo e penso cosa farà Kay tutte le albe?”


Il suo modo mi dava ai nervi, la sua dispotica ostentazione di sottolineare la conoscenza del nome di lei mi irritava a tal punto che dolcemente mi misi in mezzo tra loro due. E poi non mi considerava nemmeno.


Kay disse la sua:

“Le albe sono tutte diverse” poi chiuse leggermente gli occhi e si concentrò sulla pancia e vi giuro non so come abbia fatto ma indovinò il nome di quel ragazzo mai visto prima.

“E poi sai, Lorenzo, ti vedo spesso anche io dalla spiaggia e penso cosa farà Lorenzo tutte le mattine in barca davanti allo scoglio?”

Lorenzo rimase di stucco.

“Ma mi conosci, voglio dire, come fai a sapere il mio nome?”

“E tu come fai?”

“In paese tutti sanno il tuo nome e dicono che sei una strega. “

“Appunto.”

“Appunto cosa?”

“Sono una strega e delle peggiori, e così ho letto il tuo nome.” Lorenzo si mise seduto e:

“Hai letto? Ma mi prendi in giro? Dove hai letto il mio nome?” ”E’ importante?”

“Si, cioè no, ma sono curioso. Come hai fatto?”

“Semplice si tratta solo di conoscere dei linguaggi e poi soltanto di leggerli.”

“Linguaggi? Ma di che linguaggi parli?”

“Di linguaggi adeguati a quello che si vuol sapere. Il mondo parla un infinità di lingue, conoscerli è un primo passo.”

“Senti Kay, potresti farmi un esempio più adeguato ad un comune mortale?”

Silenzio.


La cosa mi infastidiva e stuzzicava allo stesso tempo, mentre le luci salivano sopra la spiaggia Kay era serena.

“Ok, vediamo. Ah si… pronto?”

“Vai,”

“Una rana impigliata in un arbusto gracchiò al bue di non pestarla. Ma il bue non comprese il linguaggio della rana e la schiacciò. La comunicazione efficace può salvarti la pelle.”

Dopo alcuni sensazionali secondi di ammutolimento.

“Che vuoi dire che la rana doveva muggire?”

“Doveva mai, poteva forse.”

“Ma che paragone è, come può un bue gracchiare e una rana muggire?”

“Luoghi comuni. Parli a luoghi comuni, ma la domanda che potresti porti è un'altra, come ho fatto io a sapere il tuo nome? O meglio come faccio a sapere che oggi hai pescato sette pesci e che la tua barca sta andando al largo?!”

“mmm.. non capisco come fai a sapere dei pesci? E della barca?”

“Per i pesci è molto semplice, linguaggio, invece per la barca soltanto la mia vista.”


Lorenzo si girò di scatto verso la barca, la corda d’ormeggio si era sciolta e dolcemente la ciotola galleggiante prendeva via.

Con uno scatto cercò di raggiungerla ma inevitabilmente dovette tuffarsi e noi lì a goderci lo spettacolo.

“È proprio buffo non trovi?” mi fece Kay stringendomi tra le braccia.


Dopo un po’ di tempo Lorenzo era nuovamente seduto tutto bagnato sotto il sole che avanzava più che mai.

“…ma lo sai che mi sforzo di capire quello che hai detto prima e non ci riesco?”

“Non sforzarti, non costringerti, le risposte arriveranno. Ma voglio facilitarti, ad esempio, se due rane come noi non imparano altri linguaggi sarà difficile interpretare il mondo così come lo vede un bue. Capisci?”

“mmm…”

“Qualcosa comunque ti gira in testa e prima o poi si poserà, è stato un vero piacere parlare con te, ma ora noi andiamo.”

“Kay aspetta. Un’ultima domanda. Se è vero che leggi tutto, sai che Lorenzo, qui a Capoliveri è un nome importante?”

“Un nome importante?”

“Ma come non conosci la storia dell’innamorata?”

“No, di che si tratta?”

“Pensavo di raccontartela oggi a pranzo, che fai vieni?”

Silenzi.

“Ma dove?” rispose Kay lievemente colpita dalla novità dell’evento.

“Qui alla spiaggia ha riaperto lo stabilimento “La ciarpa” è isolato e tranquillo, che fai vieni?”

“Si, sono curiosa della storia.”

“Vieni da sola o con lui?” ”Non mi separo mai da lui.”

“mmm.. beh allora l’invito è per due.”

Ma che odioso, e Kay sentì questo fastidio.

“Dai non te la prendere, ancora non ti conosce e poi sembra gentile.” A me non la dava a bere, la sua gentilezza era solo per avvicinarsi alla mia Kay, ma forse no .

Fatto sta che verso l’ora di pranzo eravamo tutti e tre alla Ciarpa a mangiare stuzzichini di pesce e verdure per Kay che era vegetariana.

Come sfondo il brillare del mare a riverberi.

“Allora questa storia?”



“La tradizione della festa dell’innamorata risale alla seconda metà del XVII secolo, quando Don Domingo Cardenas, un nobile decaduto di origine spagnola, si stabilì a Capoliveri, alla baia dell’innamorata allora chiamata “cala de lo ferro”, dato che era una miniera della calamita. Una sera di luglio, egli credette di intravedere un immagine o l’ombra di una giovane fanciulla, il cui profilo, leggiadro e soave, si stagliava contro l’immensità dell’orizzonte, rischiarato da una miriade di bagliori luminosi. Il suo urlo meravigliato e spaventato fu udito fino a Capoliveri, nonostante il fragore delle onde… Domingo aveva più volte ascoltato e appreso questa leggenda dell’Innamorata dai pescatori della zona e dagli stessi abitanti di Capoliveri… mi segui?”

“Si, vai avanti per favore..”

”Allora.. correva l’anno 1534 e le coste dell’Elba erano razziate dalle masnade piratesche del Barbarossa, ma poco importava a due giovani innamorati: Maria e Lorenzo. Il loro amore, ostacolato dalla ricca famiglia di lui era troppo grande: i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta sulla spiaggia battuta dai marosi, mentre Lorenzo aiutava i pescatori a mettere al riparo le barche di proprietà della famiglia. Da quella prima volta, quella spiaggia divenne il loro rifugio segreto, il luogo dei loro incontri, ove, finalmente, potevano scambiarsi gli eterni gesti d’amore.”


“Ma poi? Perché in queste storie c’è sempre un poi. Non è vero?”

“Infatti, si erano dati la promessa di unirsi in matrimonio nonostante le difficoltà familiari, e quel pomeriggio del 14 luglio. Lorenzo giunse in anticipo sulla spiaggia, mentre Maria, dall’alto del sentiero, vagando con lo sguardo alla ricerca dell’amato, vide una ciurmaglia di pirati sbarcare da una scialuppa.


Impotente, assistette alla lotta furibonda che si accese tra Lorenzo, che si batteva con onore e coraggio, e il gruppo di pirati. Impotente ad intervenire ella vide il suo Lorenzo, ferito e stremato dall’impari lotta, portato via prigioniero.

Maria corse disperata verso la spiaggia giusto in tempo per vedere il corpo del suo innamorato gettato fuori bordo e l’imbarcazione allontanarsi. Riconosciuto Lorenzo ormai senza vita, Maria, in un ultimo disperato impeto d’amore si gettò anch’ella in mare. Il suo corpo, inutilmente cercato da tutti, non venne più ritrovato, mentre di lei rimase solo lo scialle, allora chiamato “ciarpa”, impigliato su uno scoglio. Da quel momento la spiaggia fu detta “dell’Innamorata”.

“Che storia.” fece Kay.

“Profondamente colpito da quella visione Don Domingo Cardenas promise a se stesso che, negli anni a venire, avrebbe acceso mille torce per illuminare a giorno la spiaggia, “ per permettere a Maria di ritrovare il suo Lorenzo”. Egli volle inoltre stabilire la continuità di quella tradizione, apponendo al suo testamento una clausola che sancisse che quella festa sarebbe dovuta essere stata tramandata da padre in figlio fino all’ultimo dei suoi discendenti e mantenuta perpetuamente in vita. Così è stato fino all’interruzione causata dagli eventi bellici dell’ultima guerra.


Ma subito ripresa. Così ogni 14 luglio la spiaggia dell’innamorata risplende della luce di mille torce e barche illuminate alla ricerca dei due giovani amanti.”

Kay rimase in silenzio fissando l’orizzonte del mare, come per sdegno.

“Che ne dici? Ti è piaciuta?” fece di getto Lorenzo.

Ormai era partita, in viaggio verso il suo personalissimo mondo onirico, non rispondeva, non batteva le palpebre..

“Hei, Kay!”


Come destata da un lungo sogno, Kay si alzò da sedere e disse:

“Sei stato carino a invitarci in questo bel posto. Grazie per la storia.”

Mi fece un segno con lo sguardo, e mi alzai con fare ozioso e spostato. Poi semplicemente ce ne andammo, lasciando trasparire l’evidente stupore di Lorenzo.

Non so di preciso perché, ma cosa volete la mia Kay è fatta così.

La sera stessa a casa, nemmeno parlammo. Kay fece un cerchio con le candele, si sedette al centro e io capii che volevo andare a farmi un giro.

Il calore delle giornate aumentava ed era bello starsene al sole, appoggiato a qualche pietra a degustare le dolcezze di quei raggi.


Le passeggiate erano la parte più bella dell’andare del tempo, soprattutto quelle notturne.

Accadeva sempre che Kay nel pieno della notte attraversava la sala e intenta ad uscire mi sussurrava per non svegliarmi “Io esco..” e una dolce carezza.

Che ve lo dico a fare, anche io a sfilare insieme a lei con le ombre della notte.

Le nostre mete erano fisse, sempre le stesse. Si passava per il parco sotto a destra della piazza che d’estate pullula di vite e via verso l’anima della grande pianta. Arrivati lì Kay ci si abbracciava sempre per buoni dieci minuti e delle smorfie di gioia sulle labbra.

Poi come ricaricata iniziava con passo spedito verso la spiaggia. Dell’ innamorata ovviamente.

Io l’accompagnavo in quelle gite contemplative, ma non so di preciso perché, cosa volete la mia Kayfa questo effetto. Poi una notte capii il motivo, anzi lo vidi.

Ce ne stavamo seduti a pochi metri dall’acqua, una forma sembrava camminare sulle superfici del mare. A guardarla meglio girava a destra e sinistra… come alla disperata ricerca di qualcosa, o qualcuno.


Kay mi sussurrò “ Non temere è solo il povero fantasma di quella donna.”

Le stavo per chiedere se potevamo aiutarla e…

“Cosa vuoi che facciamo, ci sono cose che nemmeno lontanamente conosciamo, chi sono io per far fare a qualcuno qualcosa di diverso da quello che sta facendo?”

Per molte notti la spiaggia fu il nostro tetro cinema e punto di vista, fino a quando avvertii dei rumori alle nostre spalle, e anche Kay.

Tirò fuori dal suo marsupio una sferetta di cristallo, e agitando le mani frenetiche un immagine sgranata cominciava a delinearsi dentro.

Lorenzo.

Che tra le siepi spiava.

Un sorrisetto sbucava da Kay. Forse sentiva qualcosa per Lorenzo, qualcosa tipo interesse?

Sta di fatto che dopo avermi lanciato uno sguardo furbo d’intesa, si alzò disegno un cerchio con i piedi e iniziò movimenti all’interno.

Dalla sfera rotolata sulla sabbia intravedevo la faccia di Lorenzo.

Quando uscì dalla danza, Kay era tutta ricoperta di perline di sudore, sulla fronte, sul viso e sulle spalle bianche, i riflessi lunari davano la chiara consapevolezza.

Era la figlia della luna.

Kay con le mani a croce. Kay che cammina verso il mare. Kay che entra in acqua. Lo stupore di Lorenzo dalla sfera, Kay con l’acqua che le bagna il seno, Kay sparita in acqua, Lorenzo che esce dal nascondiglio e si avvicina al mare.

Kay levita fuori come sostenuta da due angeli, cavallucci marini con le ali, si ferma a pelo dell’acqua e cammina.

Uno strillo, tenue e soffocato. Lorenzo si allontana di corsa.


Kay volteggia un po’ danzando un po’ cercando. Poi esce e va nel cerchio.

Sulla strada di casa, l’alba iniziava a spuntare, la mia strega mi fa:

“ Non avrai mica creduto che ero veramente io, in acqua? Era solo un mio pensiero forma, molto più leggero del corpo. Illusioni. Sono le prime cose da apprendere.”

Rideva e mi tirava. “Hai visto che faccia ha fatto?” quella mattina dormimmo insieme fino a tardi.

Il bel tempo regnava e la primavera cedette il passo all’estate. A volte si scatenava un aria frizzante e irrequieta.

“Tra poco arriva un temporale.” Blaterava Kay, e siccome che l’acqua non l’amavo molto correvo a casa.

Kay invece passeggiava sotto la pioggia e sotto i lampi che cadevano e i tuoni che mi raggelavano le budella.


Ancora molte superstizioni e tante parole su la mia Kay, a tal punto che nessuno più la guardava negli occhi nelle sporadiche gite di spesa. Un po’ Kay ci soffriva, ma di quella sofferenza rara e mista d’orgoglio, a volte prendevamo in giro quelli del borgo che dopo il suo passaggio iniziavano un andirivieni di sale, croci e santini.

Di Lorenzo nemmeno l’ombra.


Solo una sera, quando gia Capoliveri iniziava a riempirsi di gente e per le piazze e le vie, tante bancarelle spuntavano e potevi comperare oggettini di terracotta, anelli, farti fare le trecce ai capelli o addirittura suonare tamburi indiani.


Dicevo, una sera Kay non riusciva a meditare, tanto la musica che giungeva ed era proprio invitante unirsi a quel richiamo.

“Che dici, andiamo?”

In brevi granelli di clessidra si sistemò la rossa capigliatura, mise su una maglia aderente nera e un paio di pantaloni, sempre neri, molto larghi. Era bellissima, con quel chiarore che spingeva sotto, sembrava un eclissi.

Stavamo scendendo in strada, pronti ad unirsi al flusso umano e mi accorgo di Kay senza scarpe, faccio per dirglielo e:

“Nooo, scalsa è meglio, e poi altrimenti di cosa parlano domani?”

In strada riuscivamo benissimo a mescolarsi tra la folla, e solo quando incrociavamo lo sguardo delle persone del borgo il peso ci faceva ridacchiare.

In un angolo della piazza, una bancarella vendeva anelli ed essenze varie che volteggiavano in aria. Kay si avvicinò.

Dietro al bancone Lorenzo.

“Ciao Lorenzo.”

“C.c.ciao Kay, come va’?”

“Mmm. Bene e tu che fai… lavori?”

“Beh non e’ proprio un lavoro.”

“E cos’e’ allora?”

“Niente.”

“Hai paura di me?”

“Un po’”

“E come mai?”

“Ma non eri quella che sapevi tutto?”

“Si, ma volevo sentirlo da te.”

“E’ che tempo fa..”

“Scusami ma cos’è questo anello?” le parole dei due vennero troncate di netto da una tipa che teneva in mano un delicato pezzo di?

“Un anello, d’argento.”

“Si lo so, lo vedo anch’io. Ma che simbolo è questo?”

“Ma, sembra un otto.”

“ah. Pensavo a qualcosa di più particolare.” Fece delusa la tipa e mentre stava per riporlo, Kay lo prese tra le mani e le disse:

“Vedi mia cara, questo non è un otto, questo è il simbolo dell’infinito. Questo anello rappresenta quello che di più ignoto esiste. In questo simbolo c’è tutto quello che non sappiamo che non riusciamo a spiegarci e che di conseguenza ci attrae.”

Incantata, la tipa era incantata persa negli occhi scuri di Kay.

“Posso prenderlo di nuovo?” con appena un filo di voce.

“Certo e mettitelo ti sentirai subito bene. Ti formicolerà leggermente e per brevi istanti sentirai l’infinito. Prova.” Kay agitò sopra lievemente le mani.

La ragazza rapita dalla sua figura si mise l’anello e un espressione di ignoto vagò per attimi sul suo volto.

“Lo prendo.”

“Ma cosa le hai fatto?” chiese Lorenzo mentre la ragazza si allontanava rapita dall’anello a forma di otto.

“Mmm… semplicemente la verità. Ti serve un aiuto con questa bancarella?”

“Beh, se tutti rimangono stregati… o scusa mi è scappato.”

E giu sane e grosse risate, Kay fu invitata a passare dall’altro lato della stazione mercantile.

“Innanzitutto, potresti trasformare questo posto in più accogliente..”

“Cosa pensavi, code di rospo e occhi di vipera?”

“No. Musica. Una grande magia.”


Kay tirò su il malridotto stereo da terra e mise una cassetta con scritto sopra Otis Redding.

“Peccato che non funziona.” Fece Loenzo.

Una strizzata d’occhio di sfuggita e dopo pochi minuti bellissime note nell’aria, si muovevano nobili per un raggio di un metro e poi iniziavano a fondersi con altre musiche, con mormorii di fondo e tutto il cruento apparato della confusione.

“Poi vediamo.. dammi un po’ di candele.”

“Che ci vuoi fare?”

“La fiducia è qualcosa di miracoloso.”

Kay accese in semicerchio davanti alla bancarella una fila di candele e facendomi delle smorfie per gioco creò un ambiente incantevole.

“Mica male! Ma ancora non vedo la folla.” Sentenziava spiritoso Lorenzo, dissolvendo un po’ alla volta diffidenza.

“I ching dicono che la perseveranza è favorevole.” ”I cosa?”

“Lasciamo stare, non aspettare la gente, non essere proprio un venditore, fregatene, pensa ad ora. Ci sarà qualcosa di meglio da fare?”

“Ad esempio? Se sono qui per vendere cosa ti aspetti che faccia? Che balli.”

“a) non mi aspetto niente. E b) perché no?”


Alzò molto la musica, I’ll be missin’ you di Puff Daddy. Kay iniziò a ballare e ragazzi vi posso giurare che era qualcosa di emozionante solo starla a guardare, quella massa di capelli rossi, le mani che si perdevano dentro, il corpo in esilio dalla mente, in spontaneità, ondeggiava come spinta leggermente dal vento, tra le mille voci e musica, una sirena a Capoliveri, nel semicerchio di candele, muoveva brividi e molte persone erano ferme a guardarla, ad ammirare il suo malizioso corpo con sorriso, a farsi strattonare dalle mogli gelose e molti incantati come Lorenzo.

La sua forma saliva e scendeva, piegandosi sulle ginocchia, mostrando curve e tintinnando bracciali.

Le braccia alte sopra la testa, un dito con unghia sottile ad uncino che invitava Lorenzo.

A volte ci sono situazioni nelle quali il solo pensare di farne parte attiva, ci terrorizza, ci immobilizza, la paura di cosa poi?


E spesso ti ritrovi nella cornice a muoverti, ad interagire, smettere semplicemente di essere solo uno spiantato spettatore, vivere. Quella forse e’ la vera magia.

Lorenzo iniziava a muoversi, sempre più con disinvoltura, i due si fissavano maliziosi gli occhi. La gente non poteva restare indifferente a tale bellezza. E si avvicinava, osservava, e avida cercava qualche souvenir per ricordarsi di quel momento, di quella banale passeggiata a Capoliveri o forse in qualche oscuro modo era stregata. Alla fine acquistava.

A notte inoltrata, quando la musica si spense e dolci perle d’acqua bivaccavano sulle fronti, i due si guardarono a lungo, mirando quello che c’è dietro agli sguardi, in un abbraccio.

“Abbiamo venduto quasi tutto, incredibile.”

“Per questi rimasti nemmeno gli incantesimi di Merlino e Morgana….”

“Beh, grazie… del ballo e di tutto il resto..”

“Grazie a te per aver permesso alla magia di manifestarsi.”

“Ora cosa fai?”

“Pensavo di andare a casa, perché? Vorresti venire anche tu?”

“Non e’ male per una sera magica.”

“AH Ah. Buona notte Lorenzo”

E dalla stessa strada da cui eravamo giunti ce ne andammo. Da dietro Kay sembrava una divinità.


Lorenzo, proprio in quel momento rimase vittima di un incantesimo, il più potente e doloroso, una magia a specchio, una pozione maledetta, alchimia di sensazioni umane terrestri primordiali e divine. Cadde in amore.


Cadde anche nei tranelli, il giorno successivo quando bussando alla torre entrò.

Kay mi disse: “Guarda questo, si chiama abbassamento dell’unità energetica.”

La porta si aprì e Lorenzo entrò titubante, Kay era seduta in terra sotto la finestra che dava sul blu del mare. Era davvero impossibile non vederla.

“Kay?” fece Lorenzo mi vide ma nemmeno mi chiese nulla.

Continuava con il suo mantra personale “Kay ci sei? Kay?”

Osservò un po’ la casa poi andò via.

“Abbassando tutte le tue frequenze energetiche, diventi invisibile agli altri, se non lo sanno.”

Mi confidò di aver appreso questa tecnica spontaneamente, prima su dei libri ma in pratica, in una situazione di pericolo, quando un anziano signore aveva nuovamente cercato di abusare di lei. Semplicemente aveva deciso di sparire, con le gambe strette al petto seduta in terra, sparire. Aveva sentito un lento rallentare e non era stata vista.

“Inutile dirti che fine a fatto quel signore.” Aggiunse infine.

I ching dicono che la perseveranza è favorevole, alla fine trovò un libro sui ching e cominciò a capire.


Proprio la perseveranza lo portò la mattina prestissimo alle rive della spiaggia dell’innamorata, ovviamente, dove sdraiata con la testa verso il mare, sul bagno- asciuga c’era Kay che giocava con le onde.

Pian piano l’acqua aveva bagnato i suoi capelli, raggiungendola in volto, massaggiandole la testa, poi le labbra, e ancora il collo.

Nella sua risacca il mare trascinava sul suo corpo granelli di sabbia, ora sparsi, ora concentrati disegnavano un enigmatico quadro. Ma lei li era un quadro, starla a guardare, mentre ad occhi chiusi partecipava a quella meditazione fuori dal tempo, guardarla da così vicino, sentire addirittura il muoversi dei granelli sulla sinuosa femminilità del corpo, la marea saliva fino al sangue.


Poi una breccia si aprì nel muro che la proteggeva e Kay apri gli occhi. Due pezzettini di vetro levigati dal mare salato che guardavano da sotto una coltre d’acqua. Lorenzo pensò che quel fotogramma di ricordo l’avrebbe rivisto al momento della morte, quando tutta la vita ti scorre davanti, o così si dice.

Kay si tirò su e i due iniziarono a fissarsi mentre l’acqua le scendeva dalla camicia bianca ora trasparente ad occhi e le onde in su e dietro nel mare per sempre.


Le labbra salate contagiarono presto, persi in movimenti lenti le mani si intrecciavano come serpenti, affondando nella sabbia e nelle carni. Un respiro solo, un mescolarsi di odori su sapori, cullati dal mare, come nelle migliori tradizioni, contatti, baci sparsi ovunque tutto intorno, sguardi che fissavano attoniti nelle profondità, un lamento in lontananza, come venisse dal mare, come a consacrare un legame davvero particolare.

Si separarono, allontanandosi a poco a poco, ancora con le labbra umide di conoscenze e salive, guardandosi con bocche socchiuse, in silenzio, fino a perdersi.

Sapevo che un incantesimo, una magia incontrollabile e necessaria era caduta anche su Kay.

Si videro la sera successiva. Quando Lorenzo entrò nella torre, tutto era pronto. Bussò e questa volta non sparì nessuno.

“Ti stavo aspettando.” Disse Kay

“Come? Pensavo di farti una sorpresa. Gradita?”

“Graditissima.”

E credo che fossero davvero le ultime parole che si scambiarono, era come se nel silenzio trovassero la loro personale dimensione comunicativa.

Come se avessero silenzi e silenzi, secoli di silenzi negli occhi.


Dapprima ballarono, il tramonto e le candele, poi mangiarono vicinissimi, quasi dentro l’altro, io andai a farmi un giro, avevo voglia di lontananza, ed è facile immaginare quello che accadde dopo. Ne ebbi conferma quando rientrai la mattina.

Ma era bello, vedere la mia Kay così presa e fragile, esaltava quella bellezza insita in tutte le donne.


Le giornate vedevano ora noi tre che passeggiavamo, che correvamo sulla spiaggia, Kay che ballava la sera alla bancarella, e tante mangiate insieme.

Solo un piccolo attrito, Kay non accettava mai l’invito di Lorenzo per un giro in barca. Non voleva ammetterlo, aveva timore del mare, soprattutto era il concetto di profondità che la spaventava.

“Dai, almeno fino allo scoglio?” le chiedeva Lorenzo, ma niente.

Il quattordici luglio a Capoliveri, già dalla mattina si inizia a respirare aria surreale che sa di tradizione e di fiaba.


Le mamme del borgo aiutano i figli nella preparazione delle candele e delle fiaccole, i bambini più piccoli sperano ancora in cuor loro di riuscire ad aiutare Maria a ritrovare almeno la spiaggia.

Si vive anche di leggende e fantasie.

E in poco tempo arriva sera, il crepuscolo e la spiaggia si riempiono di lucine, di voci e canti, di fuochi e balli, musiche e risate. Inizia la notte dell’innamorata.

Quella sera Kay era strana, aveva una tristezza riflessa stampata negli occhi e nelle movenze. Mi coccolò molto tra le braccia. Arrivò Lorenzo e verso la mezzanotte andarono alla spiaggia.

Io non avevo voglia, volevo lasciarli soli, regalare a Kay questa notte indimenticabile, come la storia che l’aveva tanto colpita.


Mentre cercavo un posto da trasformare in giaciglio, vidi un cerchio di candele in terra e dei bastoncini di legno in mezzo. Uno stava sotto e altri due precisamente sopra a croce. Sapevo cosa voleva dire, e anche Kay sapeva. Iniziai a correre verso la spiaggia, saltando e scivolando come un ladro in mezzo alla gente rischiando di essere schiacciato.


Arrivai correndo e vidi quello che temevo. Lorenzo era riuscito a strappare a Kay un si e stavano prendendo il mare con la barca del ragazzo. Corsi allo spasmo, con difficoltà nella sabbia e saltai. Il chiarore delle luci dei fuochi. Atterrai di peso nella barca che nemmeno oscillò.

“E che ci fai tu qui?” disse Lorenzo.

“E’ qui per me.” Ribatté Kay.

“Sono felice che ci sei, hai visto i legnetti vero?”

Avevo visto ma non capivo, ancora.

Eravamo abbastanza distanti dalla riva e i fuochi sembravano tante lucciole da osservare incantati. Nelle orecchie il frusciare del mare e una canzone malinconica, poi un lamento, modulato e lungo.

“Ma cos’e’?” disse Lorenzo. ”Io non sento nulla.”

“Come nulla.” Il lamento era sempre più presente come anche la nebbiolina che si alzò intorno a noi.

“E’ meglio tornare indietro.” Mormorò Lorenzo

Proprio mentre cercava di girare la barca, una figura non molto distante da noi si muoveva. E si agitava nell’acqua. Come se stesse annegando. Cercando di parlare. Cercando..

“Ma chi e’?” gridò Lorenzo.

“E’ il fantasma.” Proferì Kay.

“Ma che fantasma! Sarà qualche altro ragazzo come noi con la barca, magari a bisogno d’aiuto.”

“Ti dico che è il fantasma!”

“Smettila!”

In quelle parole, una voce femminile gridò un soffocato aiuto.

“Arrivo!”

“Non andare, non c’e’ nessuno.”

“Ma che dici?! Lasciami Kay!”

“Non sono Kay, sono... Ti prego non andare, non ora..”

“Non sei per niente simpatica!” e mentre finì la sua frase Lorenzo ebbe un lampo nella mente e vide delle spiagge, una tempesta, gente vestita diversa, una donna bellissima che… ricordava.. vide delle spade.. a tratti.. Kay.

E si tuffò, per sfuggire e ritrovarsi nella realtà. Era assolutamente una persona che stava annegando e al diavolo la storia dei fantasmi e streghe.

La barca si staccò da tutto quello che lui rappresentava, lui che nuotava solo…

La chiatta sbatté contro uno scoglio, trovatosi lì per caso, tra un vento corrotto che piace solo a qualche uccello…e un abisso che divide.

“Non ci sono riuscita, nemmeno questa volta. L’ ho capito troppo tardi. Questa maledizione!…è per sempre..”


Kay si sedette sullo scoglio e ora una sciarpa volteggiava al suo collo.

“Grazie!” mi disse mentre spingeva lontano la barca.

A poco a poco la nebbia l’avvolse nel bianco aulico nella notte.

Denso il mare, le onde si allungarono all’oscurità stellata per poi ricadere immemori, sbavando e svanendo la mia Kay, lasciando nonché il ricordo del suo ultimo sorriso di ebete splendore…denso il mare…

Si sentì un dileggio, come se il mondo intero assistesse a questo tracollo.

Di lì a poco Lorenzo tornò esausto.

“Kay avevi ragione, non c’e’ nes.. Kay?”

“Dov’e’ Kay?” fu la prima volta che mi parlò, risposi ma non capiva la mia lingua.

Iniziò a gridare il suo nome a chiamarla a remare e spingere, ma la barca era come tirata da una forza superiore, tirata a riva.


A riva Lorenzo organizzò subito una ricerca in mare, ma nulla. Solo una sciarpa fu ritrovata sullo scoglio. Ma c’è dell’altro, nessuno si ricordava più di Kay, nessuno l’aveva mai vista, nessuno credeva al ragazzo, anzi credevano che c’era della pazzia in lui. La torre era vuota delle sue cose, diroccata, e solo Lorenzo sapeva di Kay. Sapeva che era stata una cometa che aveva illuminato una via,una delle tante, e lui non era riuscito a credere. Le comete ripassano?


Solo lui sapeva tutto. Lui e naturalmente io.


Ma chi volete che creda mai ad un gatto nero.

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