Roberto Frazzetta
"…e morte non avrà signoria"

(Compost del lontano 2002 ispirato dal supremo Dylan Thomas)
“È uno zoticone, mentre Gabriel è dolce, giovane e bello!”.
Con queste parole per la mente, Sara si lasciava accarezzare dalle prime pallide luci del giorno. Le lenzuola erano candide e profumate di quel particolare incenso che Gabriel amava lasciar infondere nella stanza. O forse era proprio l’impossibilità di quel momento, di quella situazione che la vedeva felice dopo tanto, rilassata, in armonia in quel letto morbido steso accuratamente in terra.
“Quello che mi sta succedendo ora è la cosa migliore per me, in questo momento.” Così Sara in un altro stato di consapevolezza mattutina cercava di alleggerirsi la coscienza. Poi apparve Gabriel.
Effettivamente era un bel ragazzo, una di quelle figure misteriose e spontanee. Fisico magro e tirato, un essere di una bellezza particolare. Sara era da subito rimasta colpita dalle dolcissime rughe d’espressione che affioravano a ogni suo minimo gesto intorno alla bocca. Poi i suoi occhi. I suoi occhi! “Dio mio!” aveva espresso tra se, sentendoseli addosso la prima volta.
Eppure quei meravigliosi spilli avevano quel non so che di tremendo e pericoloso, proprio quando pericolosoera l’aggettivo che Sara stava cercando.
“Sai, non è il massimo vivere oggi come ieri, naufragare nella routine, credere di aver già preso tutto il disponibile dalla vita.” Una Sara che cercava di fare colpo e di risultare vera nella sua disperazione.
“Non fa piacere sentirselo dire, ma lo hai scelto tu di vivere così.”
Gabriel appoggiato al bancone di quel bar e Sara nella scia dei suoi sguardi. Una bella cornice per iniziare.
“Sei sveglia?”
Gabriel camminava a dorso nudo avvicinandosi al letto con un bel vassoio profumato.
“Sì. Hai già preparato la colazione? Sono appena le cinque di mattina.”
“Non hai fame? Devi recuperare le energie.” le disse Gabriel sorridendo.
“..e il sonno.” Precisò lei torcendosi nelle lenzuola.
Gabriel lasciò il vassoio e un bacio nelle prossimità della sua pancia piatta e andò al finestrone, privo di tende, solo con il mare, che a guardarlo bene sembrava essere lì, a due passi.
Il mare, il mare dolce salato, immenso immobile, senza occhi, potente e mansueto, il mare danza, ma piano, spettatore, silenzioso perfino, complice, cornice, scenario fondale. Il mare è tutto. Balla intorno, luce di ghiaccio, meraviglioso mostro infinito, sposo prediletto della luna. Il mare.
“Com’è il mare?” chiese Sara dalle lenzuola.
“Bellissimo”
“E poi?”
Non smette di sorridere e guardare Gabriel.
“A un certo punto finisce.”
Silenzio.
Gabriel rimase ancora un po’ a crogiolarsi insieme alle onde, osservando e sorridendo, sentendo il candore e la fluidità dello sguardo della ragazza.
“Oggi inizia la bassa marea.”, disse e poi pensò tra se, “Tocca a te.”
“Ti è piaciuto fare l’amore davanti ad uno scenario come questo?” chiese mormorando.
“Sì, molto, sembrava quasi di esserci dentro, di dondolare con le onde.” Rispose entusiasta, mentre cercava di ricomporre il puzzle dei suoi capelli corvini.
La notte, come le precedenti del resto, era stata movimentata, passionale e mielata, inquietante in un certo senso. Tutto di quel posto nascosto, dall’arredamento privo di stile e tecnologia, dal gioco di profumi e candele, era passionale e intrigante.
Tranne gli incubi.
Gli incubi che lei faceva di notte quando dormiva lì, erano atroci, reali, come i baci estremi che aveva ricevuto da Gabriel nel turbine della passione.
Aveva l’impressione di aver sentito anche graffiare la finestra…
“A che ora devi andartene oggi?”. Lo disse senza spostare minimamente pensieri e sguardo.
“Oggi non me ne vado. Sto con te fino a domani.”
Sara fu percorsa da un sottile freddo, una sensazione sublime di proibito e peccaminoso.
“Che succede?” disse acido Gabriel “…il tuo zoticone ti lascia libera di sabato?”
“E’ via fino a domenica. E poi cos’è questo tono, non sarai mica geloso?”
“La gelosia è uno stupido sentimento che ti lega solamente a qualcuno... quando puoi avere molto di più. Dai, tirati su, andiamo a fare una passeggiata in spiaggia.”
“Aspettiamo un po’, è l’alba. Perché invece non vieni qua a fare l’amore con me come stanotte? Non ti sembra un’idea migliore?”
“Sono tre giorni che facciamo l’amore, e invece un mare così non lo abbiamo ancora vissuto insieme, tu ed io.” Suggerì Gabriel.
Sara incerta.
“…e poi ho un regalo per te.”.
Prese un libro di Byron, non adatto. Allora aprì Thomas, dalla fila nel muro e lesse un passo.
A caso.
“...e morte non avrà signoria.
I morti ignudi saranno tutt’uno
con l’uomo nel vento e la luna in occidente,
quando le loro ossa siano scarnite ben bene
e l’ossa scarnite scomparse
stelle avranno essi al fianco e sotto i piedi,
sebbene impazziscano avranno intera la mente
sebbene sprofondino nel mare, risorgeranno,
sebbene gli amanti si perdano, non così l’amore.
... e morte non avrà signoria.”
Il pacchetto era bello largo e sicuramente conteneva qualcosa di morbido, nella coccarda luccicava il nome del negozio d’acquisto. Abbigliamento.
“Su, aprilo, non analizzarlo troppo.”
“Grazie, ma non dovevi, io non…”
“Non dovevo, dici?”
Sara scartò e il vestito era bellissimo, rosso rubino. Uno di quelli all’ultimo grido, moda primaverile, tessuto dolce che accarezzava la pelle e le curve del suo corpo.
“Non ho parole, è bellissimo.” Appoggiandolo addosso. Gabriel la guardò e subito un bacio.
“Dove posso specchiarmi?” domandò Sara dagli occhi splendenti, da qualche tempo non era trattata così, con gentilezza, solo per quello che era e per come respirava. Ora si sentiva libera.
“Tesoro, non ci sono specchi in casa mia. Se lo indossi, potrai specchiarti nell’acqua del mare e provare come si sentono le sirene.”
“Ah ah! Che matto che sei. D’accordo .” Tutto era lecito.
“Matto, dici? Perché vivo nel momento? Dovresti provare, ti va?”
“A fare cosa?”
“Ad assaporare tutto come se fosse l’ultima cosa che fai, come se oggi fosse l’ultimo dei tuoi giorni.”
“Beh proviamo, no?”
“Stai scegliendo, vero?”
“Sì.”
“Bene, finalmente.”
Dopo meno di dieci minuti, due figure, mano nella mano attraversavano la spiaggia accarezzata dal vento fresco, lasciandosi dietro minute tracce.
Sara lo guardò e cercava di vedersi da fuori, erano stati tre giorni di fuoco, lo aveva accalappiato in un bar, una sera, forse la sua prima sera dopo tanto digiuno, una sera che aveva deciso di evadere dalla monotonia di un matrimonio sbagliato. Era rimasta subito attratta dall’incuranza del luogo. Un'altra prima di lei si era fatta avanti, ma Gabriel si era liberato senza tanti fronzoli. E poi si erano visti, come vedere per la prima volta, un dolore sensibile agli occhi, un fuoco adolescenziale nello stomaco e una spinta verso l’infrazione.
Poi la favola iniziò.
Gabriel, un nome angelico, lo aveva baciato senza nemmeno saperlo il suo nome e in poco tempo si era trovata nella casetta sulla spiaggia a sorseggiare vino rosso e amare e lasciarsi amare da un corpo diverso, dopo tanto, bello, acceso. E tutto il mondo era tornato a essere nuovo e ignoto. E forse era proprio il non sapere niente del suo amante che l’attirava così tanto.
Aveva raggiunto questa consapevolezza allo stesso istante del primo orgasmo. Fare l’amore con un altro uomo… Il piacere era arrivato forte e deciso, caldo da farle infuocare il ventre. Ma come mai? Quale ne era il segreto?
Il bello era che non aveva il minimo interesse a saperlo, le andava bene così, le andava bene essere l’amante, il diversivo nella sua stessa vita.
Le andava bene tutto, la casa sulla spiaggia, il vino d’annata, il sesso forte, l’assenza di musica, i baci estremi, la sensazione strisciante di colpevolezza, le onde del mare, i respiri lunghi, l’incenso soave, tutto, tutto tranne gli incubi.
Gabriel le cingeva la vita e la baciava. Sara, ipnotizzata dalla situazione, strisciava tra la sabbia e le carezze.
“Stanotte ho fatto incubi bruttissimi.”
“Perché hai dormito?”
“Poco e male. Non li ho mai fatti così…veri.”
“…dici?”
“Sì, e a un tratto mi sono svegliata e mi è sembrato di sentire un rumore dalla finestra della camera. Come se qualcuno graffiasse per entrare.”
“Mmm…quanti anni hai?”
“Ventitré…ma che centra?”
“Ventitré, e da quanto sei malata?”
“Ma smettila! Ti dico che l’ho sentito davvero il rumore e mi sono spaventata.”
“Spaventata… dici? Da quello che è successo dopo, non sembrerebbe.”
“Stupido.”
Le due figure sulla spiaggia si baciano.
Dopo poco silenzio.
“Io so cosa sono quei rumori.”, disse gelido Gabriel fissando il mare, in quello sguardo, per un attimo era racchiuso tutto il disprezzo possibile, un inedito da far paura. “In questa insenatura l’alta marea crea delle correnti di superficie impressionanti. Molte cose ritornano dal profondo.”
“Cosa stai dicendo? Che cosa erano quei rumori alla finestra?”
“Sei sicura di volerlo sapere?”
“Certo.”
“Stai scegliendo?”
“Sì, ma adesso dimmi cosa erano.”
Sguardi e silenzio.
“Sono le mie amanti!” disse Gabriel quasi sottovoce portandosi l’indice alle labbra. Un fare da psicopatico del cinema.
“Ma va! Sei uno scemo, ed io che ti do retta.”
Silenzio.
Sara non più tanto sorridente, anzi leggermente…impaurita.
Silenzio e sguardi.
Ancora.
“Ho amato così tante volte, e le ho affogate tutte. Dalle loro tombe coralline sorgono.”
“Smettila, non è divertente. Mi fai paura!”, cercando di liberarsi dall’abbraccio.
“...e quando cala il buio..”
“Smettila!”
“…con le loro ossa vengono a graffiare la finestra..”
“Basta, ti prego!”
Sara ora aveva paura e anche liberatasi da quelle mani, non riusciva a non ascoltarlo e a non proiettare la mente nella rimembranza dei suoi incubi.
“…e le sento chiamare e mi dicono… Non sai perché lo hai chiesto! Non sai perché lo hai chiesto!”
“Smettila!” e via. Sara iniziò a correre, lontano, cercando di scappare dal ricordo degli incubi e delle mani che graffiano.
“Aspettami! Stavo scherzando!”
Gabriel la raggiunse e la tirò a se. Le lacrime di Sara assomigliavano allo spumeggiare del mare. Le dita bagnate sulle labbra.
…sguardi e silenzio.
Di nuovo l’intesa.
“Stai con me sotto queste onde. Sii libera. Per una volta nella tua vita.”
Un bacio salato. E Sara si sentì ancora immersa nella sua favola. E gli istanti di prima le sembravano incubi dopo il risveglio, lontani.
Lontani…lontani…
“Voglio specchiarmi. Voglio vedere questo vestito come mi sta.”
“Sei stupenda.”
“Non ti credo. Non mi fido di te!” e ridendo, scalza, Sara corse verso il mare.
Gabriel la guardava allontanarsi. Era proprio bella, viva, l’amante ideale.
Era un peccato averla spaventata. Per così poco.
L’acqua salata le cinse le ginocchia, era piacevole lasciarsi andare e fregarsene del vestito bagnato, dell’acqua fredda e degli incubi.
Il riflesso di colore che affiorava dall’acqua la rilassò e chinandosi lievemente Sara si specchiò e vide se stessa, bella come mai si era vista. Si vide come se fosse l’unica cosa importante da vedere. Sara era felice.
Lievi movimenti in acqua.
La mano di Gabriel le riscaldò il collo, dolce, provato dalla brezza della mattina. La presa era presente, intensa, muoveva brividi, e Sara godendo di quelle sensazioni continuò a specchiarsi, tra le onde sottili e l’increspature dell’acqua.
La sua immagine, dolce e splendente, vide come ultima cosa.
La presa passò subito dal presente al violento, in un attimo.
“Nemmeno tante reazioni”, pensò Gabriel, dopo.
Rimase per qualche minuto a osservare lo scurirsi del vestito rosso, in preda all’acqua salata, poi baciandole la mano che galleggiava libera, le disse:
“Non sai perché lo hai chiesto? Ci vediamo, una di queste notti.”
Una figura risale verso la casetta di legno lasciando tracce che il vento nasconderà.
Dolcemente.
Il sole inizia a scaldarsi e in lontananza un punto rosso scompare a fondo nel mare.
Dolcemente.
