(5 minuti non staccare la penna)
Lui non si chiama Dante.
Ma lei Beatrice.
Lui la via ha smarrito, ma di brutto.
L’ultimo amico d’autostop l’ha lasciato di notte e sotto la pioggia.
In realtà lui, che non si chiama Dante, è fuggito da un posto particolare…
La selva oscura è quella di Beatrice.
Lui vorrebbe tanto trovarcisi.
Nel mezzo del cammin tra la strada e la casa e dalla porta al letto.
Si sono conosciuti in quel posto particolare, dove qualcuno fa finta di curare chi non può guarire.
Virgilio è lo Schnauzer da combattimento della vicina di casa traumatizzato dalla sconfitta dell’ultima gara con un Pechinese di Arcidosso che rispondeva al nome Chen il quale l’azzannò ai testicoli. Beatrice lo coccola anche se è malato di rabbia.
Quando lui, che non si chiama Dante, scavalca il cancello nella notte se lo trova davanti e inizia l’inferno.
Lasciate ogni speranza o voi che leggete questa è la maledetta commedia…
Pioveva a dirotto che quasi non si capiva la direzione e dove stesse andando.
Eppure tutto corrispondeva alla descrizione che nel suo dormiveglia sintetico aveva sentito giorni addietro pronunciare da lei per telefono mentre lo lavava.
Beatrice, la sua medica, doveva abitare per forza lì.
E con lei lo stava aspettando anche l’opportunità di guarire. Sapeva che sarebbe bastato appena solo un bacio per sdraiare il demone, ma per sicurezza voleva l’atto completo. Ossia dichiarare il suo smisurato amore.
Aveva una certezza… solo fare all’amore poteva debellare il demone che aveva dentro.
Glielo disse il padre che era un patito di bocce.
E Beatrice ne aveva giusto due.
“Ogni uomo ha il suo demone dentro e non ha pace finché non lo trova. Il demone si nutre delle paure, incatena alle sofferenze e contagia con la rabbia e la tristezza. E quando ha finito con i padri passa ai figli. Solo l’amore lo libera. Quando troverai il demone salta addosso e strappa le mutande.”
“E come si fa a incontrarlo?”
“è… come si fa, come si fa? Sta ovunque, in tutti i posti che uno gira nelle cose che fa, ad esempio il mio demone è nelle bocce e fin quando non lo vinco, non accetto la sua presenza, sarò sempre io a essere lanciato e mai il contrario.”
Dopo l’ennesimo torneo perso a Castiglioncello Bandini, il padre decise di dare al demone tutte le future vittorie a tavolino e si suicidò impiccandosi sul trave della porta della cantina. Prima però essersi sturato per principio, la damigiana di Nerello Mascalese appena giunto dalle pendici dell’Etna. Quando il figlio lo trovò scendendo dalla scala di casa, aveva solo undici anni e dallo spavento scivolò all’indietro sbattendo la testa sullo spigolo del tavolo di legno, unico compagno di sbronze del suo vecchio.
Una bella botta.
Si risvegliò anni dopo, con i capelli bianchi e un affaticamento che certo non poteva addirsi a un ragazzo della sua età.
E siccome la madre se ne era andata anni prima della tragedia e pure sbattendo la porta, lui si ritrovò a vivere dentro la clinica d’igiene mentale di Arcidosso dove tutti alla bocciofila, sapevano che suo padre non era questo granché di giocatore. Lui, che non si chiamava Dante, era bello e tonto. Adesso non è che voglio dire che senza la botta in testa sarebbe diventato uno studioso delle dinamiche dominanti, ma una cosa era certa, il demone aveva vinto il padre e stava un pezzo avanti con il figlio.
E così ora sapete tutto, o almeno l’indispensabile per procedere oltre. Ah no, la medica.
Beatrice era una tirocinante che gli aveva stretto la mano appena si era svegliato, gli aveva carezzato i capelli e lo aveva servito nel suo primo pasto a base di pillole arcobaleno.
Insomma tutto il necessario per far scaturire l’innamoramento. La cura migliore dopo il bacio che poteva permettersi di sognare.
Lei aveva una pelle così candida e profumata e quando quella sera sentendo il ringhio di Virgilio se lo vide dalla finestra del bagno arrampicato sul melo, lei si stava mettendo la crema idratante costosa di Armani e per uscire a soccorrerlo la pioggia che scendeva violenta le bagnò i capelli, la sottana e le fece colare la maschera ma di un macabro mai visto, tanto che pure il cane prese a guaire scappando terrorizzato.
Accorta del danno Beatrice prese a imprecare posseduta da un sacro paonazzo ardore.
Eppure lui, che non si chiama Dante, scese dal melo con i pantaloni e brandelli le corse incontro certo che fosse lei e la sua cura. Proprio mentre gli spazi si stringevano e la mente di lui immaginò quasi di percepire il contatto delle loro labbra chiuse gli occhi e lo sganassone di lei lo fece girare su se stesso sistemandogli le cose ne cervello e mentre girava, tutto il mondo prese colore e un senso compreso.
“Nell’amore non c’è motivo, uno schiaffo in faccia al posto di un bacio. Ci si chiedeva perché all’infinito ma questo non cambiava il fatto che si amava la persona che si era destinati ad amare.”
Peccato la testa a terra, batté nuovamente su uno spigolo di peperino.
Lui che non si chiamava Dante svenne lì.
Ora sapete davvero tutto per immaginare come sia andata dopo…
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