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Roberto Frazzetta scrittore

 
  • Immagine del redattoreRoberto Frazzetta

"La fine della ricerca"



Sapevo di stare per commettere una follia. Il solo pensarlo era da considerare completamente inadeguato per il mio grado e la mia posizione all’interno del Corpo di Spedizione. Sapevo che il mio piano era frutto di una mente squilibrata, torturata dall’ombra dei rimorsi, figuriamoci se poi comprendeva pure la manipolazione di persone, costrette dalle circostanze a darmi aiuto.

Un’insurrezione bella e buona.

Ero una Spedi e quella sarei rimasta fino alla fine.

“Uno Spedi accetta la sfida. Prende quello che gli viene offerto!”

Lo ripetevo di continuo a tutti gli allievi durante l’accademia.

Andava fatto anche per mantenere una certa coerenza.

Avevo bisogno di elementi.

Una sola unità del nostro tipo bastava a creare un piccolo branco di seguaci motivati. Ovunque.

Figuriamoci su un pianeta come Latimer.

Eppure solo seguendo questa pazzia che riuscivo a essere me stessa fino in fondo. Non c’era niente di logico e sensato, per questo avrebbe funzionato. Stavo rischiando tutto quello che mi ero creata, tutta la mia carriera e il mio prestigio nel Corpo, rischiavo tutto, su Latimer.

E questo mi piaceva, cazzo se mi piaceva!

Il mondo non mi avrebbe capito, mi avrebbero condannato, a mio favore c’era solo l’impulso animale marchiato a fuoco nel DNA della mia pila, una voce che gridava alla coscienza di mettere in atto l’Armageddon, di aggirare la ragione e seguire l’istinto Spedi.

Salvare un amico da morte atroce.

Avevo anche un dovere morale visto che il soggetto era stato anche il mio allievo più brillante.

Non sia mai che si dica che sono una maestra insensibile al talento.

Ho vissuto troppe vite per non riconoscere l’unicità delle persone.

Quindi, appena seppi della condanna, non ci pensai su due volte e uscii per la missione.

Reclutai i membri del mio branco in meno di una giornata. I bar dei Disat al quinto livello erano zeppi della carne da macello che mi occorreva.

La città di Gringer era un dedalo di livelli che s’innalzavano fino al cielo e quando pioveva di brutto, come nelle ultime due settimane, quello che arrivava al quinto livello era melma arrugginita. L’atmosfera perfetta per la nostra incursione. Il rumore dello sgocciolare ovunque confondeva il passaggio della poca gente sul ponte che frequentava il livello di là della porta che avevamo forzato. Eravamo in silenzio nel buio, chiusi in una stanza di manutenzione, scelta per la sua posizione attigua alla parete del Globo ascensionale che garantiva il transito tra un livello e l’altro. Si poteva accedere solamente per quella via, le aree di ogni livello erano sorvegliate da tecno droni del Protettorato.

Macchine volatili letali.

“Cazzo! Ci diamo una mossa, Dream! Mancano meno di dieci minuti!”

Fece Slim attraverso il collegamento radio. Lo vedevo a pochi metri da me, o meglio intravedevo con la vista notturna le gambe di Tank, lui gli era davanti, accovacciato nel cunicolo di areazione. Me lo immaginai avvolto nella sua corazza Tatti.

Sorrisi.

Era buffo nella stazza mastodontica della sua custodia Afro che terminava con il braccio destro molto esile. Gli avevo fatto impiantare un moncherino “Lazerip” ultima generazione per il taglio di leghe metalliche. Mi era costato tutti i crediti rimasti. Che non si dica mai nemmeno che sono spilorcia.

Un mio gesto e la linea rossa del laser sarebbe apparsa al posto della sua mano e il moncherino avrebbe falciato la paratia come burro.

Tank era pronto a entrare nella fenditura e a collegarsi con il sistema di gestione per sottomettere il Globo assicurandoci così una salita rapida e assolutamente privata.

Sarebbe scattato l’allarme d’intrusione e confidavamo nel fattore tempo. Il firewall ci avrebbe messo normalmente pochi secondi nel ripristino. Quel genio hacker di Tank aveva pasticciato e ci aveva garantito tutto il tempo necessario.

L’imprecisione aggiungeva imprevedibilità.

I miei compagni erano stati reclutati solo il giorno prima ma era implicito che avrebbero pagato ogni errore. Uomini di ventura che per un mucchio di crediti e la balla di farli espatriare con me, avevano accettato quasi ringraziandomi. Dopo avergli detto di essere una Spedi avevano sgranato gli occhi, ma ormai il patto era stretto. Il resto lo fece la mia seducente custodia tutta curve.

Per fortuna non provavo minimamente senso di colpa e il Condizionamento in questi casi era una benedizione. Era molto probabile che sarebbero morti nell’operazione, e quella era la migliore ipotesi, perché se fossero stati catturati dal Protettorato in flagrante di reato avrebbero rimpianto in virtuale di avere un anima così sensibile al dolore.

Oppure sarebbe toccato a me l’ingrato compito di eliminarli a fine rapporto. Ma a questo dettaglio magari era meglio pensarci in seguito.

“Allora facciamolo! Apri le danze, Slim!”

Il suono gutturale della fiamma laser arrivò per radio fin dentro le mie orecchie.

Avremmo avuto pochi minuti per scatenare l’inferno e liberare il mio amico. Alle brutte il mio Tenzor a lama acida lo avrebbe ucciso e sarei scappata con la sua pila.

Tutto per salvarlo dall’orrore di quella morte.

Il piano era semplice e in vecchio stile. Risplende la Gloria Spedi!

La piazza dove si sarebbe svolta la cerimonia era a poche centinaia di metri da dove il Globo ci avrebbe lasciato. La fermata di uscita del tredicesimo livello.

Magari con questa pioggia ci sarebbero stati pochi civili in giro e con un po’ di fortuna avremmo trovato l’esiguo picchetto di esecuzione e il plotone di cadetti del Protettorato prossimi al titolo. Era sempre stato d’obbligo farli assistere allo spolpamento di uno Spedi rinnegato.

Controllai le armi e caricai.

Eravamo armati con lanciaparticelle e determinati a portare a termine il salvataggio o morire provandoci. Ogni dubbio di fallimento era raso al suolo dal Condizionamento che pompava da minuti interminabili fiotti di adrenalina e noradrenalina per tenermi accesa.

C’era un unico problema.

La mia custodia stava per morire di avvelenamento al cadmio e questo genere d’inconveniente nei momenti di azione rendeva l’esito assolutamente imprevedibile.

La variabile impazzita.

Forse non avrei dovuto accettare il bio impianto con tanta leggerezza, quel tipo non era proprio il miglior esponente in materia e anche il suo standard di “sterilizzato” lasciava a desiderare ma come si suole dire, il tempo stringe e a me serviva un potenziamento strutturale a basso costo.

“Paratia aperta!” affermò Slim con non poche tonalità di soddisfazione nella voce.

“Tank, tocca a te!”

Il secondo addetto era stato scelto per le sue abilità di cyber hacker. Era un ragazzino, o almeno la custodia che indossava restituiva quel genere d’immagine, ma aveva un talento innato nel comunicare con tutti i vari sistemi bio cibernetici sensienti. Il Globo era uno di questi. Inoltre il ragazzo aveva un’armatura a custodia che amplificava le sue prestazioni e garantiva l’upload di tutte le tattiche belliche in commercio. Quando si presentò all’appuntamento sotto il ponte del quinto livello trattenni a stento un moto di ilarità. La sua forma in finale ricordava l’immagine epica di un cavaliere corazzato dei tempi pre coloniali terrestri.

“Dream? Gioco fatto.” Disse il cavaliere per radio.

Adesso veniva il mio turno. Mi mossi in preda a vampate di calore prodotte dalla temperatura della mia custodia. I potenziamenti andavano alla grande e m’introdussi nel condotto di areazione con estrema facilità. Il lanciaparticelle assicurato alla schiena della tuta d’assalto.

Quando arrivai nell’apertura della paratia, il Globo era in arrivo.

“In perfetto orario. Lieti di garantirle il servizio.” Cianciò Tank mentre era attaccato tramite elettro ventose alla paratia circolare dove scorreva il Globo. Dal suo braccio cibernetico un mazzo di fibre ottiche si interfacciava direttamente con un pannello della linea di quell’ascensore sensiente. Slim era nello stesso modo assicurato alla parete ma da come guardava con impressione verso l’alto, non doveva essere contento del mezzo di trasporto.

“Cazzo, ragazzi non si vede il cielo! Ma quant’è la distanza per arrivare al tredicesimo?”

“Meno di cinquemila metri. E se la tua prossima domanda è quanto tempo impiegheremo per arrivarci, ti dico subito che con questo software di accelerazione che ho avviato, quindici secondi e saremo lì.”

“Vomiteremo anche l’anima.” Imprecò Slim.

“Ricordatevi di stabilizzare l’armatura al collo e non dimenticate di ancorarvi con le elettro ventose.”

“Basta chiacchiere andiamo.” Dissi e saltai sopra il tetto del Globo.

Tank e Slim imitarono i miei passi. Ci assicurammo tutti saldamente. Quello che stavamo rischiando non era niente a confronto di quanto il mio allievo stava affrontando.

La Sentenza era stata emessa. Colpevole.

Gli Spedi che erano giudicati rinnegati erano deprivati della volontà tramite tortura virtuale in loop. Il trattamento durava per tre giorni e anche se era appurato che la mente di uno Spedi sopportava un trattamento del genere, era ugualmente inflitta. Una persona senza Condizionamento sarebbe stata ridotta in stato vegetale in poche ore. La mente Spedi era legata a parametri diversi di sostegno psiconeurale. Avrebbe sofferto e sanguinato ma si sarebbe potuta nascondere di continuo. Solo dopo i tre giorni in virtuale si passava alla Sanatrice. Era l’unica cosa che uno Spedi poteva temere nella sua vita. Molto più della morte vera.

Una macchina di tortura perfetta. Più volte avevo visto quel genere di congegno all’opera con le carni del povero fratello di turno che aveva perso la retta via del Corpo di Spedizione. Lame e aculei ti torturavano, dilaniando il corpo fino al limite della sopportazione ma non un passo oltre, dopodiché le più artefatte tecniche mediche di nano tecnologia risanavano i brandelli di corpo danneggiati e la tortura riprendeva. Senza sosta. Il virtuale si può eludere con la tecnica giusta ma la carne è per sua natura debole e sensibile. Il dolore rende pazza ogni tipo di mente.

È questione di tempo.

“Pronti alla discesa.”

L’avviso di Tank mi distolse da quei pensieri mentre un sapore acido di metallo invase le papille gustative della bocca.

“Ultime raccomandazioni?” chiese il cavaliere.

“Arriviamo a destinazione, Slim apre la paratia mentre Tank tiene sotto controllo la stabilità del Globo e ci da copertura di sistema, non voglio dovermela vedere con i droni della sicurezza di Gringer. Io e Slim entriamo facendo fuoco, si spara per uccidere, poi libero il bersaglio e rientriamo nel Globo. Tank difendi il varco con tutto quello che puoi. Ci porterai poi a livello zero e lì prenderemo il Flyer. Addio Latimer.”

“Facile a dirsi, donna.” Fece Slim.

Ci sdraiammo per ancorarci meglio.

La sensazione fu di cadere con una grande pressione sopra la testa. In quindici secondi può passare tutto il corteo delle vite vissute davanti. Sarà stata colpa dell’avvelenamento ma io svenni. Quando riaprii gli occhi, la paratia era a metà dall’aprirsi.

Presi dalla tasca della tuta le tre compresse di tetra efedrina. Se andava fatta questa cosa andava fatta bene.

Il sistema neurochim accettò l’invito della sostanza e mi prese a schiaffi svegliandomi completamente la furia dentro. Una belva si destò nell’oscurità della mia mente. Lo sguardo si fissò sulla paratia in trepidante attesa. Ansimavo, mentre un filo di bava colava dall’angolo delle labbra. Persi definitivamente la sensazione di essere donna, divenni solo un demone sorridente e assetato di sangue con una sola missione. Recuperare il mio allievo migliore.

Quando il pannello cadde, mi proiettai attraversando il bagliore che veniva dall’esterno e uscii direttamente sul ponte di unione di due enormi edifici. La piazza era vicina. Registrai il cielo del tipico rosaceo delle città di Latimer e la freschezza dell’aria di pioggia che com’era comprensibile a quelle altezze era migliore di quella dei livelli inferiori, ma erano dettagli che scorrevano nei sensi periferici mentre stavo filando verso la destinazione. La gente si scostò impaurita, avevo scelto una tuta che richiamava i colori del Sitak del Protettorato e la scelta si rivelò azzeccata. Intravidi i cappelli del picchetto che presenziava il rito. Il Protettorato era proprio una merda, non avrebbe mai schiavizzato completamente il Corpo di Spedizione e a conferma di questo mio pensiero c’era l’assenza di tutti i membri del Corpo stesso.

Il mio allievo era stato appena messo dentro la macchina, stavano assicurando le cinte dermiche e presto avrebbero dato inizio alla festa.

La prima raffica sbriciolò un bel po’ di teste lasciando evaporare le polveri mentre i corpi insanguinati cadevano a terra.

Erano impreparati a questa irruenza e anche se la loro controffensiva fu immediata era nettamente insufficiente per i miei potenziamenti strutturali. Mi colpirono e alcune parti della lega che mi rivestiva saltarono via ma il Vibranio Beskar fuso nelle braccia, nel busto e nelle gambe, era impenetrabile e i loro colpi mi rallentarono di poco. La piazza era un ottimo punto strategico, non c’erano vie di fuga se non i due ponti metallici di congiunzione. Io e Slim occupavamo quello orientale quindi le loro forze si ritirarono con fuoco di copertura su quello occidentale. Slim aveva un cannoncino Drauser portatile innestato direttamente nell’avambraccio sinistro. A ogni colpo lo spostamento d’aria mi spingeva ma erano fastidi trascurabili, visto i brandelli di carne che schizzavano in aria.

A breve saremmo diventati famosi.

“Coprimi mentre lo estraggo.” Comandai a Slim. L’afro si mise in ginocchio puntando l’avambraccio verso il ponte e cadenzando bordate al plasma.

“Tank sono sul ponte.” Disse Slim in contatto radio.

Il ponte si aprì a metà come per favorire un passaggio di qualche astro cargo e i soldati dell’accademia caddero di sotto.

“Wow. Tutto questo casino è per me?” chiese l’allievo allo stremo delle forze.

“Hai proprio una cera di merda. Forza ragazzo, ingoia queste abbiamo un bel po’ di strada da fare prima di salvare la pelle.” Dissi mentre continuavo ad armeggiare per liberarlo dalla Sanatrice.

“Posso sapere con chi ho il piacere di…” mentre ingollava una buona dose di jet bellico.

“La tua maestra non ti lascia mai nella merda.”

“Virginia Vidaura? Sei proprio tu?”

“Ora mi faccio chiamare Dream. Sai com’è? Meglio essere evasivi di questi tempi, caro Jimi.”

“Ma come ti sei conciata?”

“Ho esagerato con gli impianti cyborg. Volevo essere sicura di recuperarti. Piuttosto De Soto, dimmi dov’è quello che cercavi?”

“Qui dentro di me.” Disse toccandosi il petto.

“Pazzo criminale, avrebbero potuto trovartelo addosso.”

“Tanto peggio di così. Non fanno il bio scanner ai condannati a morte.”

“Non vorrei interrompere la rimpatriata ma direi che è il caso di darsela.”

“Slim questo è De Soto, lui è Slim. Andiamo.”

Detto questo diedi una Rafter a schegge al mio allievo ma crollai miseramente.

“Che cazzo hai?” chiese Jimi allarmato.

“Un attacco di leggera morte. Troppo cadmio in questa lega metallica.”

Mi tirò su di forza, il jet stava entrandogli in circolo.

I trecento metri fino al pertugio aperto erano una distanza ora davvero incolmabile.

Era la parte più difficile della missione di salvataggio, la città era in pieno allarme. E noi credevamo ancora di farla franca quando due Aracnidei arrivarono alle nostre spalle. Le ergo corazze iniziavano avvolgendoli dalle cosce e i due Sitak erano protetti da uno scudo. L’altezza era il vantaggio tattico che gli serviva per crivellarci di colpi. Slim centrò una delle zampe metalliche ma senza produrre risultati.

Le nostre corazze avrebbero retto ancora per poco.

“Giochiamoci il ponte!” fece De Soto.

Era l’idea migliore. Riuscimmo ad attraversarlo indietreggiando lentamente e ci appostammo per improntare una difensiva di fuoco. Se il cannone di Slim era stato nullo, i colpi di lanciaparticelle erano acqua fresca. Tuttavia anche le barriere dei soldati non potevano reggere molto ma noi non avevamo tempo e Tank non riusciva a ripetere il giochetto di prima tanto era il da fare per difendere il Globo. Senza il passaggio fino ai livelli inferiori sarebbe stato meglio spararci direttamente nella pila.

“Fanculo!” gridò Jimi e mi tolse il lanciaparticelle mentre ero caduta per l’ennesimo colpo accusato dalla mia struttura potenziata.

“Scusa la poca galanteria, maestra!”

Mi si piazzò dietro usandomi come scudo e fece fuoco sulle braccia meccaniche che sostenevano il ponte.

Quel pazzo furioso ci avrebbe fatto crollare e saremmo precipitati anche noi.

Il ponte tremò paurosamente.

Non crollò del tutto ma subì un violento disallineamento e la superficie di una delle metà scese di qualche metro così bruscamente facendo perdere la stabilità agli Aracnoidi che rovinarono sui fianchi. Fu allora che mi scavalcò saltando nella metà inferiore del ponte e approfittando del trambusto piazzò due colpi a scheggia con la Rafter.

Finalmente un po’ di pausa.

Slim lo aiutò a risalire e procedemmo verso l’entrata del Globo.

“Siete tutti pazzi voi Spedi!” furono le ultime parole pronunciate prima che il drone da combattimento lo centrò in viso esplodendo.

Slim aveva mezza faccia e le sue attività vitali cessarono in un bagno di sangue.

“Ne stanno arrivando altri!” gridai. “Andiamo!”

Jimi riuscì a tirare dentro quello che rimaneva della carcassa di Slim. La trainò fino a sopra la cupola del Globo.

“Forza forza forza!” gridò Tank in preda al panico. “Non li tengo più.”

Le energie stavano per abbandonarmi, un'altra compressa mi avrebbe mandato in arresto cardiaco tanto il cuore mi sobbalzava tra le tette.

“Ancoriamoci. Tieni i bracciali!” Tank glieli lanciò e Jimi era cadaverico in volto, li indossò non capendo cosa ancora lo aspettava.

“E Slim?” blaterò Tank afferrando il problema dell’ultima paratia solo in quel momento.

“Non c’è tempo! Facci scendere!” gridai con le ultime energie. I neurochim registrarono lo sciamare dei droni in arrivo.

Pochi inutili secondi.

Il Globo partì, cadendo nel vuoto abissale dei dodici livelli sotto. Forse la velocità era troppa o forse l’avvelenamento era arrivato alla corteccia prefrontale facendomi percepire allucinazioni ma mi sentii come se il sangue stesse uscendo a fiotti dalle orecchie e dalla bocca. Quando in pochi interminabili secondi arrivammo al livello zero, capii che le mie peggiori insinuazioni erano azzeccate. Jimi mi tolse il casco tattico.

“Dream. Hai il viso che è una maschera di sangue, io volevo ringraziarti con un bacio.” Disse sorridendo.

“Coglione.”

Mi liberò dagli ancoraggi delle ventose elettriche e mi issò.

“E adesso?” chiese Tank.

“La paratia, ci separa dalla via di fuga. Dall’altra parte c’è il mio flyer.” Mormorai con un filo di voce.

Jimi prese il lanciaparticelle e fece fuoco e si accorse presto che avrebbe esaurito tutta la carica, senza ottenere che un piccolo cedimento.

“Stanno inviando uno stormo di droni. Cinque minuti e saranno qui.” Disse Tank ancora connesso al sistema ma era evidente dalla sua voce che stava per farsi venire un infarto per la paura.

La risposta venne dal cielo spiaccicandosi sul dorso rotondo del Globo con un tonfo.

Slim.

L’avevamo perso nella discesa ma la gravità ce lo aveva restituito. O almeno aveva reso quello che ci occorreva come oro.

Passai il Tenzor e Jimi tagliò di netto il moncherino.

“Riesci a prendere la sua pila mentre lavoro sulla paratia?”

Mettersi a sezionare tra le vertebre cervicali in momenti del genere e nelle mie condizioni non era il mio passatempo preferito, avrei fatto prima a rifiutare ma il mio allievo era purtroppo un idealista. “Non si lascia indietro nessuno.” Dissi con un filo di voce.

“Risplende la Gloria Spedi!” ricevetti per conferma. Quando finii di recuperare la pila, ero ai limiti del perdere conoscenza. La mia testa sbatté contro il metallo del Globo e il respiro sempre più ansimante. Jimi aveva quasi terminato, mancava poco. Sopra le nostre teste bagliori e pezzi di metallo in una pioggia di cui Tank era l’artefice. Non sentivo più nemmeno gli spari. I Droni erano arrivati.

Poi fui presa di peso e gettata oltre il varco, caddi con il viso in una melma fangosa. Sentii la voce di Jimi chiedere a Tank “…tivare in remoto?”.

Poi ancora quella sensazione, l'affezionata mietitrice che seduce ogni Spedi come nessuno mai. Avevo il privilegio di essere vigile a un passo dalla signora Morte, fino al punto di avvertire la sua ineluttabile presenza. Pochi secondi prima che la cortina di fumo cali e tutto torna al silenzio primordiale che fa perdere il valore a ogni azione vanificata. Mi spensi senza ricordare il senso. Qual era il perché di tutta questa storia?

Il chiasso del noise medico è la frequenza subliminale che cura le ferite psiconeurali. Lo senti e semplicemente ti sveglia. Un suono greve seguito da uno acuto. La mente si riattiva. Il corpo non c’è.

Mi percepisco come in una stanza con un lettino morbido indefinito, una stanza senza cose da vedere, senza temperatura, odori e oggetti da toccare se non solo un piacevole chiarore che copre la vista.

“Maestra? Puoi sentirmi?”

“Jimi… Dove cazzo sono?” la mia voce è un po’ metallica.

“Ci siamo riusciti, abbiamo lasciato Latimer. Siamo nel tuo Flyer, in volo verso casa.”

“Mi hai messo in una slot di contenimento?”

“Mi spiace Dream, la tua bella custodia era andata. Ho pensato che almeno così, avremmo potuto parlare. Senti dolore?” “No, non sento assolutamente nulla. Come avete fatto a salvarvi?” “Il ragazzino qui è forte, è una specie di hacker-matrioska. Era dentro una corazza e quella si poteva pilotare in remoto.”

“Abbiamo rimandato il Globo al tredicesimo livello. I droni si sono sbriciolati.” Fece l’hacker ma la voce era molto più giovane.

“Tank! Sei un mito.”

“Anche la pila di Slim è a posto. O almeno sembra, l’hai tolta con molta grazia.”

“Anche? C’è un’altra pila intatta? Mi sono persa qualcosa?”

“Sì, ti ho svegliato appositamente. L’amnesia temporanea è probabile in questo tipo di morte. Però volevo dirtelo di persona.”

“Jimi, cazzo! Non tenermi sulle spine già sono morta e confusa di mio.”

“Virginia, l’ho trovato. La sua pila è qui tra le mie mani.”

Silenzio. Ricordai tutto. Improvvisamente.

“Oddio, non ci credo! Mi stai facendo piangere in virtuale.”

“Questo non è cazzo possibile. Non sai piangere.”

“Tu l’hai ritrovato. Ci sei riuscito?”

“Sì. La ricerca è finita. Takeshi Kovacs è di nuovo con noi.”

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